La pandemia ha cambiato proprio tutto. Anche il nostro rapporto con il cibo, dal cosa compriamo al come lo compriamo, dal come lo prepariamo al come lo consumiamo. Nel primo caso, ad esempio, si è diffusa una cultura molto più attenta al tema della sostenibilità, che vede nel boom dell’integrazione della biotecnologia nel settore alimentare uno dei trend più in crescita degli ultimi tempi.
Basti pensare che, nel mese di dicembre dello scorso anno, l’agenzia per la sicurezza alimentare del Singapore – la SFA – ha autorizzato per la prima volta la vendita di bocconcini di pollo realizzati con carni coltivate ottenute da cellule animali.
Oltre ciò, a causa della scarsità dei prodotti e dell’incertezza finanziaria, ci siamo spesso visti costretti a rinunciare ai prodotti più costosi e favorito il consumo di cibi più accessibili, sostituendo, ad esempio, la carne con pasta, riso, legumi o patate. Ma ancor più interessante è il dato secondo il quale siamo oggi molto più inclini ad acquistare prodotti a marchio del supermercato, che abbandonano, così, quell’immagine negativa che a lungo li ha accompagnati, diventando scelte alternative di cibo e bevande più care.
Ma quali sono i prodotti che abbiamo acquistato di più? La corsa al rifornimento ha favorito – per sua natura – l’acquisto di cibi a lunga conservazione, proprio perché in grado di durare più a lungo e così evitarci di recarci al supermercato più volte, aumentando le possibilità di contagio.
I surgelati, i cibi in scatola e da dispensa sono stati, dunque, i prodotti più acquistati: pratici ed economici, li abbiamo spesso preferiti a frutta e verdura fresca, ma dietro questa scelta di consumo si nasconderebbe anche una più grande consapevolezza: l’attenzione al tema dello spreco alimentare. Acquistare cibi secchi o in scatola, infatti, non significa solo risparmiare, ma anche ridurre gli sprechi.
Anche i nostri gusti stanno evolvendo, e nel nostro viaggio alla scoperta di nuovi orizzonti culinari abbiamo ritrovato il gusto di sperimentare. Che si tratti di uno snack o di una bibita, pare proprio che le nostre preferenze siano cambiate e il come dipende dalla nostra età, o almeno questo è quanto è stato dimostrato da un recente studio condotto dall’Institute of Food Technologies: mentre i Millennials sono più inclini a sperimentare combinazioni inaspettate, la Gen Z preferisce sapori forti e autentici.
Se, da un lato, il settore alimentare procede veloce verso l’innovazione, dall’altra parte la cucina tradizionale sta acquisendo un’importanza sempre maggiore. Storia, famiglia e usanze tramandate di generazione in generazione si mescolano a ingredienti semplici e regionali, per riscoprire ricette antiche e che ricordano casa. In altre parole, si sta cercando di ritornare alle proprie origini, di riscoprirle e raccontarle attraverso il cibo.
Infine, in questi ultimi mesi sembra essersi diffuso anche un diverso approccio al cibo, molto più libero e flessibile. Mentre alcune persone si rifugiano nel cibo per scappare ai problemi e trovare conforto, instaurando un tipo di relazione essenzialmente negativo con esso, molte altre persone hanno cominciato ad adottare un approccio “non-diet” definito di Intuitive Eating (il mangiar intuitivo). Anziché contare calorie ed evitare di assumere carboidrati, questa filosofia spinge le persone a consumare esattamente ciò che desiderano nella quantità che desiderano per soddisfare e appagare il proprio corpo e il proprio umore.
Si tratta di un approccio che rifiuta la cultura della dieta, intesa nella promozione della perdita di peso e nella sensazione di fallimento che si prova ogni volta che una dieta smette di funzionare e si finisce col recuperare ciò che si è perso.